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Commemorazione di Nicea, un'occasione per “promuovere la riconciliazione e rafforzare la ricerca dell'unità tra le diverse tradizioni cristiane”



Ricorrono 1.700 anni da uno dei concili più importanti della storia: Nicea. Il concilio che ha ribadito che Cristo è vero Dio e vero uomo, e la cui commemorazione «rappresenta, tanto per i cristiani quanto per la Chiesa e per il movimento ecumenico, un’opportunità significativa di riflessione sulle origini dottrinali e strutturali del cristianesimo».


Dal 2 al 5 aprile si è tenuto a Roma un congresso accademico per commemorare i diciassette secoli dal Concilio di Nicea, organizzato dal Pontificio Istituto Patristico Augustinianum e dalla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino. All’iniziativa hanno contribuito anche altre istituzioni, tra cui l’Institute of Eastern Christian Studies di Toronto, l’Australian Catholic University, la Domus Australia e la A.G. Leventis Foundation. Il padre Juan Antonio Cabrera Montero OSA, presidente del Pontificio Istituto Patristico Augustinianum, ha aperto i lavori di un convegno che ha visto la partecipazione di decine di studiosi da tutto il mondo, tra cui l’ex arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, Christoph Markschies, Lewis Ayres, Emanuela Prinzivalli, Samuel Fernández, Chiara Curzel e Angelo Segneri, alcuni dei quali docenti dello stesso Istituto Patristico.


Durante le sessioni, si è rivolto lo sguardo alla dottrina dei Padri della Chiesa, da sant’Ireneo di Lione e Clemente Alessandrino fino a san Girolamo e san Gregorio Magno, senza tralasciare ovviamente sant’Agostino.


Un concilio che è servito a rafforzare la modalità con cui il cristianesimo concepisce la relazione tra l’umano e il divino e sulla quale si basa una mentalità umanistica intrisa di fiducia e positività. Per approfondire alcuni aspetti del congresso, abbiamo parlato con padre Felipe Suárez Izquierdo (OSA), docente di Patrologia Fondamentale presso il Pontificio Istituto Patristico Augustinianum.


Quando si è deciso di organizzare questo Congresso?


L’organizzazione del congresso intitolato “Nicaea 2025: evento, contesto e ricezione” è iniziata tre anni fa, in vista dei 1.700 anni dalla celebrazione del Concilio di Nicea del 325. Il congresso è stato promosso dal Pontificio Istituto Patristico Augustinianum e dalla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum).


Cosa rappresenta la commemorazione di Nicea per i cristiani, per la Chiesa, per l’ecumenismo?

La commemorazione del Concilio di Nicea (325) rappresenta, tanto per i cristiani quanto per la Chiesa e per il movimento ecumenico, un’opportunità rilevante per riflettere sulle origini dottrinali e strutturali del cristianesimo. Il concilio segnò una tappa cruciale nella storia della Chiesa, stabilendo per la prima volta una formulazione comune e ufficiale della fede cristiana — il Credo niceno — per rispondere alle tensioni dottrinali dell’epoca, in particolare circa l’identità di Cristo.


Per i cristiani in generale, commemorare Nicea significa tornare a una tappa fondativa in cui furono definiti elementi essenziali della fede condivisa, offrendo un punto di riferimento comune al di là delle attuali divisioni confessionali. Per la Chiesa, significa riconoscere sia il valore dell’unità dogmatica raggiunta, sia le difficoltà connesse all’intreccio tra potere politico e istituzionalità ecclesiale — fenomeno che ha condizionato buona parte della sua storia successiva.


In ambito ecumenico, la commemorazione di Nicea assume un valore simbolico e pratico. Molte confessioni cristiane — cattolica, ortodossa e numerose chiese protestanti — riconoscono nel Credo niceno un patrimonio teologico comune. Ciò rende il concilio uno spazio storico di convergenza, capace di facilitare il dialogo, promuovere la riconciliazione e rafforzare la ricerca dell’unità tra le diverse tradizioni cristiane, non attraverso un’uniformità imposta, ma attraverso la riscoperta di una memoria comune.


In sintesi, commemorare Nicea non è solo un esercizio di memoria storica, ma anche un invito a rileggere criticamente i fondamenti della fede cristiana, a comprendere i processi che ne hanno strutturato l’istituzionalizzazione e a promuovere spazi di comunione nella diversità.


Spesso si tramandano versioni semplificate di Nicea, come quella dell’eccessivo peso di Costantino: come risponde a questi “racconti”? È necessario spiegare meglio Nicea?


È fondamentale chiedersi da quale prospettiva desideriamo studiare la figura di Costantino: teologica, storica, devozionale — considerando che è venerato come santo nella Chiesa orientale —, oppure attraverso un’analisi delle fonti? Manca spesso chiarezza su questo punto, il che può condurre a interpretazioni errate del personaggio.


Esiste una ricca letteratura, antica e contemporanea, su Costantino e sul suo ruolo nel Concilio di Nicea. Già in epoca patristica si scriveva su di lui, segno della rilevanza che l’imperatore ebbe nelle questioni religiose. Al di là delle letture positive o critiche della sua figura, appare evidente che, tanto prima quanto dopo il suo regno, il legame tra politica e religione era indissolubile.


La nozione di laicità, come la intendiamo oggi, non esisteva. Da una prospettiva pagana, appartenere a una comunità significava condividerne anche la religione: un cittadino poteva essere al tempo stesso soldato e sacerdote nel proprio ambito domestico. I gruppi che si discostavano da tale unità sociale-religiosa erano percepiti con sospetto, il che può in parte spiegare le persecuzioni subite dal cristianesimo nei suoi primi secoli.


È importante sottolineare che, sebbene la protezione imperiale concessa da Costantino abbia rappresentato un impulso determinante per la consolidazione istituzionale della Chiesa, essa comportò anche alcune limitazioni.


Con la sua ingerenza, la fede cristiana divenne oggetto di interesse e gestione politica, introducendo nei dibattiti teologici una dimensione partitica che ne condizionò lo sviluppo. Tale politicizzazione contribuì alla complessità e al protrarsi di numerose controversie dottrinali, come dimostrano sia la lunga crisi ariana — che attraversò tutto il periodo prima, durante e dopo il concilio — sia la controversia donatista, che ebbe luogo durante la permanenza di Costantino in Occidente.


Quali furono le figure più rilevanti a Nicea e nel “post-concilio”?


Tra le figure più rilevanti del Concilio di Nicea (325) spicca l’imperatore Costantino, la cui iniziativa e il sostegno politico furono decisivi per la convocazione e lo svolgimento dell’evento. Sul piano teologico, lo storico Adolf von Harnack identifica cinque posizioni trinitarie rappresentate dai vari protagonisti del concilio. Ario, presbitero di Alessandria, fu il principale sostenitore della tesi che negava la piena divinità del Figlio. Eusebio di Cesarea, collocato in una posizione intermedia tra Ario e Alessandro di Alessandria, ebbe un ruolo importante non solo come teologo, ma anche come cronista, poiché le sue opere conservano molte informazioni sul concilio e su Costantino. Alessandro di Alessandria, con il giovane diacono Atanasio, difese con determinazione la consustanzialità del Figlio con il Padre, dottrina che fu infine affermata nel testo del Credo niceno. Parteciparono anche figure come Eustazio di Antiochia, fautore di un monarchianismo moderato, e Marcello di Ancira, rappresentante di un monarchianismo “dinamico”, entrambe correnti preoccupate di salvaguardare l’unicità divina contro le formulazioni subordinazioniste.


Nel periodo post-conciliare, Atanasio emerse come figura centrale nella difesa del credo niceno, affrontando numerosi esilii e controversie. La sua perseveranza fu determinante per la consolidazione dell’ortodossia trinitaria. In seguito, i cosiddetti Padri Cappadoci — Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa — svolsero un ruolo essenziale nell’approfondire e sistematizzare la teologia trinitaria, ponendo le basi per la sua definitiva ricezione nei concili successivi.


Come si sente interpellata la spiritualità agostiniana da Nicea? E lo stesso Agostino?


Parlare di Nicea all’epoca di Agostino significa innanzitutto riferirsi alla “fede nicena” come a una realtà già consolidata nel pensiero teologico cristiano. Allora, la dottrina trinitaria formulata nel Concilio di Nicea (325) era già stata ampiamente recepita, assimilata e rielaborata nel contesto della riflessione patristica. Di conseguenza, la nozione di “fede nicena” ai tempi di Agostino si legava più strettamente alla regula fidei — il criterio oggettivo della fede della Chiesa — che non agli enunciati specifici del concilio originario. Anche all’interno dello sviluppo della teologia trinitaria agostiniana si nota un’evoluzione progressiva, che trova la sua maturazione nel De Trinitate, opera nella quale si cristallizza una sintesi teologica di profonda elaborazione.


Più che un semplice richiamo, si tratta fondamentalmente di assumere la responsabilità ecclesiale di custodire, dalla nostra particolare appartenenza all’Ordine di Sant’Agostino, un patrimonio storico e religioso di grande valore, che ha contribuito in modo decisivo alla configurazione della nostra cultura. Questo lascito ha lasciato un’impronta profonda in molteplici ambiti — tradizione, arte, liturgia, letteratura, scienza, architettura, politica, e perfino nella concezione stessa dello spirito umano —, per cui la sua conservazione rappresenta un compito essenziale per la memoria e l’identità dell’Ordine di Sant’Agostino e, di conseguenza, della Chiesa.





 
 
 
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